domenica 16 marzo 2014

Kräkningar

Ante scriptum: rileggendo il post mi sono accorto che tra le righe (ma non solo) emergono molti paralleli italo-svedesi. Fondamentalmente non l´ho fatto per decretare vincitori né vinti, ma vorrei rimarcare il fatto che qui c’è la nostra visione della realtà indipendentemente da quale che sia la nazione in cui questa si presenti. Come spesso ribadito qui non c´è la Svezia e nemmeno l’Italia, qui c´è la nostra Svezia e la nostra Italia. Chi ha orecchi per intendere, intenda!


Dunque, alcuni post addietro avevo lasciato un discorso in sospeso. Oggi, a distanza di quasi due anni, qualche esperienza in più l’abbiamo fatta e quindi possiamo ripartire da lì.

Questa settimana la Bea è stata davvero male! Siamo partiti Lunedì con un bel virus intestinale che l’ha stesa. Vomito e diarrea a ciclo continuo. Meno di due settimane fa eravamo tutti a letto con l’influenza e adesso eccoci pronti a ripartire.

A parte che non è mai facile mettere in fila tutte le cose quando si sta male, ma almeno cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi per quanto si possa. Quello che ci ha lasciato questa settimana è una maggiore esperienza sulla sanità qui in Svezia e di questo vi voglio raccontare.

Lunedì infatti, capendo che non si trattava di un semplice mal di pancia, abbiamo chiamato il vårdcentralen (Centro per la Salute). Il vårdcentralen è sostanzialmente la versione 2.0 del medico di base italiano.  E' un centro con personale ospedaliero (medici e infermieri) che ha in cura un determinato numero di abitanti della città. Ogni città ha diversi vårdcentralen in base alla popolazione. Ogni persona ha il proprio vårdcentralen (esattamente come il medico della mutua) e in caso di necessità lì deve rivolgersi. La differenza rispetto al medico tradizionale è che nel proprio vårdcentralen, oltre alla possibilità delle normali visite, si ha anche l’opportunità di effettuare analisi e interventi di chirurgia di base. Quindi, se uno deve fare gli esami del sangue, li può fare lì. Se uno si è tagliato un dito e ha bisogno di una sutura, sempre lì. Non so bene quando scatti la soglia per cui dal vårdcentralen si passi all’ospedale (penso che non tutti i vårdcentralen abbiano le attrezzature per la TAC o non so in caso di fratture ci sia un ortopedico con relativa sala gessi), ad ogni modo una persona mediamente sana che ha bisogno di un paio di visite all’anno, per i classici malanni, o magari degli esami del sangue può tranquillamente non dover mai metter piede in ospedale. Io la trovo una cosa molto positiva e anche efficiente, soprattutto in termini di tempo. Ah quasi dimenticavo, in Svezia (come sempre) si paga tutto, poco e tutti. A parte i bambini, penso fino a 16 anni ma non sono del tutto sicuro, dovrei controllare, e gli anziani, tutti gli altri pagano. Qui nel Södermalm sono 100sek (circa 11€) per una visita infermieristica e 150sek (circa 17€) per il medico. Non so dirvi per le analisi perché le uniche che ho fatto, me le hanno fatte in azienda, ma penso non siano cifre esorbitanti. Una volta raggiunto un tetto massimo annuale, poi é tutto gratis.

Ad ogni modo non è sempre oro quello che luccica. Il primo aspetto riguarda le modalità di accesso al vårdcentralen. Occorre sempre prenotare per telefono e se ci si presenta alla reception senza appuntamento si viene gentilmente (ma neanche tanto) rispediti al mittente. Si chiama la segreteria automatica e si lascia il proprio numero e personnummer (codice fiscale) e solitamente si viene richiamati nel giro di un paio d’ore. Poi l’infermiera alla reception fa un po’ di domande per capire la gravità del caso e decide quando dare l’appuntamento. Ora, occorre una certa abilità nel superare l’ostruzionismo delle infermiere addette al centralino che, generalmente, non si scompongono nemmeno di fronte a parole come privo di conoscenza o morte. A parte un po’ di ironia, a volte è molto frustrante sentirsi dire continuamente di aspettare un paio di giorni in attesa che la situazione migliori, soprattutto quando si sta male o quando vostra figlia ha la febbre a 39C da almeno un paio di giorni. Anche perché il calendario delle visite è giornaliero. Mi spiego meglio. Vengono fissati solo gli appuntamenti della giornata in corso e non vengono stabilite visite per i giorni a seguire. Per cui se si tarda a telefonare non c’è speranza di poter essere visitati e occorre fare tutta la trafila di nuovo il giorno seguente. Generalmente dopo le 9.00 del mattino si è spacciati!

Nonostante questo, con un po’ di esperienza, buone maniere e tempismo si hanno buone probabilità di vedere un medico entro le 24 ore.
Ora, la Svezia ha, per scelta o per condizione cronica, carenza di personale medico. A detta di tre colleghi le cui mogli e compagne lavorano negli ospedali tra Eskilstuna e Stoccolma, se sei medico o infermiere c’hai da pedalare perché il rapporto pazienti/medici è abbastanza alto. 

Perché dico questo, perché Lunedì, causa ondata di influenza e varicella che ha investito Eskilstuna, tutti i vårdcentralen erano intasati e già alle 8:30 di mattina la segreteria per le prenotazioni rispondeva con il messaggio: chiamate l’1177, ovvero il numero per l'assistenza sanitaria. In poche parole avevano staccato il telefono!


Anche con l’1177 occorre una certa dimestichezza. Primo serve che la batteria del cellulare sia ben carica. I minuti di attesa in linea sono sempre almeno 20. Se poi si chiama in orario di pranzo, allora mettetevi comodi perché c’è da aspettare almeno il doppio. Su questo ho le prove dirette e anche fonti certe che me lo hanno confermato. Poi, anche in questo caso, c’è sempre da fare opera di convincimento!


Ad ogni modo dopo la prima chiamata all’1177, spiegando i sintomi della Bea, otteniamo questo: vätske-ersättning. 


Vätske-ersättning è il “farmaco” prodigioso in grado di sconfiggere qualunque male riguardante stomaco e intestino. A dire il vero da quel che mi hanno detto in farmacia e da quanto scritto sopra il foglietto illustrativo, si tratta di fermenti e minerali che dovrebbero aiutare a ripristinare la flora intestinale, ma qui è un po’ come il guaritore assoluto per cui un paio di bustine dovrebbero avere lo stesso effetto della pozione di Asterix e Obelix.

Sfortunatamente vätske-ersättning non ha avuto gli effetti sperati sulla Bea, che ha continuato a rimettere con la stessa frequenza per un altro paio di giorni. Mentre quelli del vårdcentralen erano alle prese con la più grave pestilenza che abbia afflitto Eskilstuna dal dopoguerra, essendo il centralino perennemente scollegato, abbiamo di nuovo chiamato l’1177 e dopo quattro giorni ci hanno detto di andare all’ospedale. E qui si apre un capitolo nuovo.

Dunque l’1177 ha inviato il nostro anmälan (la nostra notifica) al reparto Barnakutmottagning ovvero il reparto di pediatria del pronto soccorso, fornendoci anche tutte le istruzioni sul come e dove raggiungere il luogo. Arrivati in ospedale la Bea ha rimesso proprio davanti all’entrata ma per fortuna siamo riusciti ad arginare la situazione, poi abbiamo seguito alla lettera le istruzioni e siamo andati alla reception del reparto. Lì avevano già preparato una cartella per la Bea con le informazioni che avevamo lasciato all’1177. Ovviamente il reparto era tutto su misura per bambini e famiglie ma, come era prevedibile, anche molto affollato e pieno di pianti e stridore di denti. 


Ecco cosa abbiamo fatto nelle tre ore in cui siamo stati lì.
Un’infermiera ha visitato la Bea, che nel frattempo piangeva abbastanza forte per il male alla pancia, e ci ha assegnato un codice (stessa scala come in Italia: bianco, verde, giallo e rosso).
Dopo la visita preliminare ci hanno fatto accomodare in una sala separata lontano da altri bambini possibilmente infetti (così ci hanno detto).
Il pediatra ha nuovamente visitato la Bea nel giro di mezzora e ci ha chiesto tutto sulla sua situazione. Dopo di che ha richiesto le analisi del sangue e delle urine.
L’infermiera ha preso un paio di campioni e una provetta di urine, la Bea ha ricevuto il suo bel cerotto colorato e un piccolo regalino, essendo stata molto brava, e poi sono andati in laboratorio.
Dopo un’altra mezzora è tornato il medico con i risultati e ci ha detto che tutte le analisi erano a posto e che molto probabilmente si trattava di un virus intestinale. Perfetto diagnosi fatta. La cura???
Poco cibo possibilmente scondito (riso, pane, maccaroni), acqua o saft con un po’ di zucchero e per finire vätske-ersättning (di nuovo!!!!).
Se le condizioni fossero peggiorate contattare nuovamente l’1177.

Anche in questo caso nulla da eccepire sulla professionalità del personale e la struttura, anche se un po’ di amaro in bocca mi è rimasto.
Per esempio, durante l’attesa, una signora, di chiare origini meridionali, con una bambina visibilmente sofferente, si è recata nella sala del personale e ha letteralmente cazziato tutti perché si stavano facendo la loro fika mentre bambini stavano male. No, no cosa avete capito non si tratta della mia Signora, lei dopo gli ultimi corsi comportamentali al Komvux, ha abbandonato il suo impeto meridionale e adesso ha un approccio molto più nordico. Praticamente in modo molto pacato e calmo riesce a mettere le persone di fronte ai loro errori senza che questi abbiano modo di replicare e li seppellisce sotto l’evidenza dei fatti e questi non possono far altro che accettare le conseguenze. Ma questa è un’altra storia...
Ad ogni modo come ho sempre detto, qui in Svezia, toglietemi tutto ma non la fika, che messa così suona un po’ stano ma è la verità e vale anche al pronto soccorso.

Altra punta di amaro in bocca quando il medico di fronte alla specifica richiesta di un qualcosa per calmare il vomito ci ha risposto che non c’era nulla del genere e di continuare con i rimedi della nonna. Ora io ultimamente con lo svedese ho fatto progressi e mia moglie molti più di me e non ci sono stati fraintendimenti linguistici, questo lo garantisco. Lui ha capito bene la domanda e noi altrettanto la risposta.
Va beh, poco male il medico ci ha salutato dicendoci che lui passava sempre le vacanze in Italia, che gli piaceva un sacco Como e poi un bell’arrivederci in italiano-scandinavo.



Venerdì le cose invece di migliorare sono peggiorate. Il vomito era sempre più frequente e ormai la Bea non riusciva a trattenere né cibo né liquidi. Quindi, Sabato mattina, collega il cellulare al carica batterie e chiama nuovamente l’1177. Dopo 45 minuti, ci dicono che adesso siamo gravi (e grazie al cazzo accidenti!!) e dobbiamo tornare al pronto soccorso. Essendo Sabato, questa volta il reparto di pediatria è chiuso e dobbiamo andare al Pronto Soccorso Generale (Akutmottagning).

Perfetto altro giro, altro regalo. Preso il numero alla macchinetta, spiegato tutto alla reception, compilato un nuovo foglio nella cartella della Bea, rifatta la visita per assegnare il codice. E poi di nuovo il medico, l’infermiera, le analisi sangue-urine, e nuovamente il medico.
La Bea ci è rimasta un po’ male perché questa volta le hanno messo un cerotto normale e non le hanno dato nemmeno un adesivo...pazienza.
Arrivano i risultati delle analisi e il medico ci fa vedere che i valori indicavano un netto miglioramento. Io le ho fatto notare che ormai gli spasmi le venivano anche quando beveva un goccio d’acqua e che non riuscendo a trattenere nulla era molto debole. La dottoressa ha quindi capito che cinque giorni ininterrotti di vomito e diarrea forse avrebbero debilitato un adulto, quindi figuriamoci una formichina di 12kg. Abbiamo posto di nuovo la fatidica domanda, sempre in modo molto discreto: non c’è nulla che possiamo usare per fermare gli spasmi??? Io dentro di me pensavo: se mi risponde vätske-ersättning, giuro che la mando a cagare lei insieme a tutti i fermenti le esprimo un minimo di disappunto. Ma qui arriva la sorpresa!
Lei esce, e poi torna con una siringa che contiene uno sciroppo e ci dice. Questo lo usiamo solo in ospedale per fermare il vomito, non potete prenderlo in farmacia con la ricetta. Il vätske-ersättning non usatelo più perché non serve a molto in questi casi (ma va?!?!). Per un attimo le ho voluto bene e ho ripreso un po’ di fiducia nel genere umano.

Sabato sera, la Bea ha preso lo sciroppo datoci “sotto banco”, e ha ripreso a mangiare. Oggi ha un colorito tendente al rosa, ha mangiato e da quasi venti ore non rimette più.



Sabato, a cena, mentre la vedevo magiare un po’ di riso, mi sono lasciato andare a qualche confronto con la mia Signora. Ho fatto un po’ di mente locale sulle mie esperienze da bambino e su quanto abbiamo sperimentato nel primo anno e mezzo con la Bea in Italia.
Come penso sarebbe andata in Italia: molto probabilmente avremmo chiamato la pediatra che, in funzione della gravità, sarebbe venuta a casa a visitare la Bea. Poi, dopo una normale visita, avrebbe prescritto uno sciroppo (per esempio Plasil o Peridon) e ci avrebbe detto di tenerla a digiuno o di mangiare in bianco. Tutto senza uno straccio di esame o senza versare una goccia di sangue. Molto probabilmente la Bea sarebbe stata male comunque per 4 o 5 giorni e poi si sarebbe ripresa normalmente. No ospedali, no altri medici no infermieri... una normale visita, ricetta (ovviamente non elettronica) e medicina.


Giusto? Sbagliato? Non lo so.

Non lo so nel senso che non so se questo modo in cui sono cresciuto sia effettivamente il migliore. Se dovessi sintetizzare, facendo ovviamente le rispettive approssimazioni:


Svezia: tante visite, tante analisi, nessun farmaco. 
Italia: una sola visita, no analisi, tanti farmaci.

Quale sia l’approccio migliore, io non lo so, non essendo medico non so se la soluzione migliore sia quella di aspettare che la malattia faccia il suo corso naturale, oppure utilizzare lenitivi che possano alleviare i fastidi (o il dolore) che la malattia provoca. Appunto non lo so e probabilmente mi servirà tempo per scoprirlo. Quello che so è che io sono cresciuto seguendo il metodo Italiano e quindi questo approccio è altamente radicato nella mia mentalità, ecco perché a volte storco un po’ il naso di fronte ad altri approcci. Sono però pronto a mettermi in discussione e a riconoscere l’efficacia di altri metodi.

Io sono uno di quelli contrari a priori all’uso smodato di farmaci. Spesso mi sono tenuto la mia emicrania per più di venti ore filate pur di non prendere gli antidolorifici. Sposo in pieno la teoria di utilizzare gli antibiotici solo quando serve e solo quando sono realmente efficaci. Apprezzo il fatto che un medico richieda esami basilari che richiedono meno di un quarto d’ora prima di fare una diagnosi. Tutto questo sono pronto a difenderlo a spada tratta, ma quando ci vuole ci vuole?!? E qui sorge il problema: chi è che stabilisce quand’è che ci vuole? Generalmente il medico che è lì per quel preciso motivo. Ma allora perché di fronte alla stessa malattia due approcci tanto diversi?
Gli sciroppi vari che prendevo da bambino in Italia erano realmente necessari? E come faceva il pediatra a saperlo dopo solo 5 min di auscultazione? E una settimana di vomito continuo qui in Svezia è realmente necessaria o con un semplice sciroppo potrebbe essere evitata?

Non c’è malafede in queste domande, anche perché sono quelle che io mi sono posto al termine di questa esperienza. Ripeto, la nostra esperienza, i nostri occhi.
Anche un semplice virus ci ha messo di fronte a cose che banalmente davamo per scontate e che oggi ci fanno riflettere sulle diversità: lesson learned.


Bene, l’importante è che adesso siamo di nuovo tutti friska (sani) e speriamo di rimanerci per un po’.

domenica 9 marzo 2014

UNA verità

Per me che ho il cervello in fuga (in fuga da me stesso ovviamente) a volte ci sono dei piccoli momenti di positivismo.
Questa settimana ho avuto la fortuna di leggere questo... faccio un copia-incolla della parti che più mi hanno colpito.


Buona lettura e buona Domenica.

Una verità, nella mia esperienza, si impone per la propria coerenza interna, per la propria capacità di organizzare fatti in un quadro logicamente organico. 
[...] 
Cerco di spiegarmi. Da decenni mi prendo gioco della più pericolosa categoria di imbecilli:i presuntuosi del "se non conosci non puoi gggiudicare". Ragazzi, a cosa serve la cultura? (intesa come capacità di lettura del reale che solo l'arte vissuta e i libri senza figure letti possono attribuirti). Ma è semplice! Serve proprio a evitare dolorose esperienze, e a evitare di perdere tempo. Perdonatemi: quante esperienza fa, nell'unità di tempo, il moscone che continua a cozzare contro il vetro? Vi sembra quello il modello da seguire? (rinvio a Frisch per capire come mai l'ape non lo faccia). La cultura è quadro coerente di lettura ed economia di tempo e di pensiero, non collezione di quarte di copertina dell'ultimo libro dell'ultimo Nobel per la letteratura kazako, o dell'ultimo saggio dell'ultimo giornalista anticasta, ecc. Questa è la buona descrizione di un cassonetto per la raccolta differenziata della carta, non della testa di un uomo di cultura.

Vedere un film demmerda sapendo che è demmerda per poter poi dire che è demmerda, ascoltare un imbecille sapendo che è un imbecille per poter poi dire che è un imbecille... Ragionare così significa partire dal presupposto che ciò che legittima un giudizio critico sia il consumo (di un film, di tempo)! Significa inoltre presumere che il proprio consumo, per quanto estemporaneo e inconsapevole sia, implichi conoscenza, comprensione. Non è così. Non tutti sono abbastanza ampi da comprendere certi contenuti, non è perché paghi un biglietto che capisci quello che vedrai, e d'altra parte ciò che legittima un giudizio critico è la coerenza della critica che viene portata (che a sua volta può benissimo prescindere dalla delibazione integrale dell'oggetto della critica stessa).

Il vetro è trasparente, ma impenetrabile per un moscone (e se è blindato anche per una pallottola).

A contrario, ciò che legittima una verità in quanto tale (ho detto una, non "la") è appunto la sua coerenza interna, il fatto che unisca molto puntini. "La" verità li unirebbe tutti, ma il problema è che non sappiamo quanti siano, per definizione. "Una" verità ne unisce molti. Una cazzata non ne unisce nessuno, anzi, passa accanto a tutti.

Ma naturalmente il metodo del "se non conosci non puoi giudicare", che sfocia nel metodo dell'"ascolto tutti e poi decido con la mia testa", è l'ideale per tener sotto controllo gli imbecilli, per il semplice e ovvio motivo che ne lusinga la stolta vanità, quella che li porta a credere, appunto, di avere una testa, e di poter formulare un giudizio, e, come presupposto, a poter credere che il giudizio si formi un un'ordalia nella quale tesi contrapposte si affrontano come pupi siciliani. Sono laureato in lettere (quindi sono colto, anche se il romanzo sul quale ho fatto la tesi l'ho letto solo sul Bignami), ascolto il dibattito fra due persone che parlano di cose che non capisco, e poi decido con la mia testa. Capito perché c'è l'euro? E capito perché tanti non laureati che un libro però l'hanno letto invece si sono accorti che l'euro è una sòla? Semplice!

È delle idee come degli uomini: la lotta più dura, l'unica vera, autentica, decisiva lotta è quella con se stessi. 


Ma per far lottare un'idea con se stessa, cioè par apprezzarne l'ìntima coerenza, la consonanza, bisogna avere un certo atteggiamento e una certa preparazione, che non passa per le quarte di copertina dei nobel kazaki appiccicate lì, ma magari per un paio di versi di Leopardi che porti con te dalle elementari (quando erano le elementari! E nota bene: non è necessario capire subito quello che si impara, ma è utile portarlo con sé:omnia mea mecum porto...), non passa per i festoni di integrali tripli degli ingengnieri del "l'economia non è una scienza", ma magari per il due più due fa quattro, non passa per l'idea che siccome Kant non è scritto in formule, allora tutti possano capirlo e farsene un'idea "con la propria testa", ma magari per la capacità di esprimere in diversi linguaggi, possibilmente non tecnici, quei contenuti ai quali si può accedere solo se si possiede il linguaggio tecnico, per la capacità di riconoscere un linguaggio intellettualmente onesto quando lo incontri...
Fonte: http://goofynomics.blogspot.se/2014/03/se-non-conosci-puoi-giudicare.html