venerdì 28 febbraio 2014

... e se in fondo non avessimo nulla da temere.

Poco prima di partire, ricordo di essere passato in macelleria da Gianni. Sentii il campanello della porta suonare mentre lenta si chiudeva dietro di me.

Quel suono mi riportò indietro. Lontano, lontano, a quando da bambino entravo da quella stessa porta stringendo la mano di mio padre e nell'altra quella di mio fratello.


Avevamo appena fatto colazione al bar degli zii, lì di fianco. 
Ivan ci aveva salutato coi suoi baffi e, mentre mangiavamo un pezzo di erbazzone, mio padre aveva annerito col pennarello la schedina del totocalcio.
Poi tutti da Gianni, che, nel vederci, ci sorrideva con gli occhi.


Erano passati tanti anni, ma lui, quella sera, era ancora lì col suo sorriso buono. Quella sera c’ero io in quella macelleria e nella mia mano stringevo quella di mia figlia.



Gianni ci salutò con la sua spontaneità e poi mi chiese:
Allora, è vero che partite?
Gli risposi di sì e lui subito:
E quando pensate di tornare?
Non lo so – gli dissi – non lo so. Oggi so che partiremo, ma non ho la minima idea di cosa ci riserverá il futuro.
Non ti preoccupare – mi disse ­ non hai nulla da temere!
Gli risposi:
Grazie Gianni, ad ogni modo sono certo che quando torneremo, se torneremo, avremo imparato a capire ed apprezzare tutto quello che oggi ci accingiamo a lasciare.
Gianni, chinò la testa mentre alcune fettine si appoggiavano piano piano sul bancone.

Qualche secondo di silenzio.

Poi sorrise di nuovo e mi ripeté:
Non hai nulla da temere!



Oggi, entrando in macelleria, farei un bel sorriso a Gianni e gli direi che alcune cose le ho capite, altre le ho solo intuite e tantissime continuano a darmi il tormento, ma di una cosa sono sicuro: apprezzo ogni frammento che mi sono lasciato alle spalle. Apprezzo le persone buone, i gesti sinceri, le cose genuine.

Spesso si desidera ciò che si è perso e, quando poi lo si ritrova, lo si stringe a sé per non smarrirlo di nuovo.
Ogni volta che io ritrovo ciò che spesso mi manca, lo stringo forte. So che presto dovrò lasciarlo nuovamente e quindi ne colgo ogni attimo.


Un etto di cotto, un paio di fettine di vitello, macinato e tre braciole di maiale.
Uscii dalla macelleria riascoltando quel campanello che mi aveva riportato a quando ero bambino. Sorrisi dentro di me, mentre stringevo la mano della Bea, ripensando che forse non avevamo nulla da temere!










… e siamo arrivati a DUE.


martedì 25 febbraio 2014

Sparta e Atene

Avete presente la Grecia antica quella dei filosofi, la culla del sapere, la patria di Omero, sì proprio quella. Ecco, la nostra famiglia è un po’ come la Grecia di allora solo che noi siamo Sparta e tutt'intorno c’è Atene.

Si è vero noi siamo una famiglia con delle regole. Tante regole.

A Sparta vigono le regole e le regole vanno rispettate. Un soldato di Sparta rispetta sempre le regole!

E così noi abbiamo il nostro decalogo, che non è altro che la trasposizione orale di quello che a suo tempo ci è stato insegnato.

Ora però, si da il caso che la nostra piccola guerriera spartana abbia un suo decalogo personale che comincia più o meno in questo modo:
regola numero uno: ogni regola può essere infranta!

La signorina sta diventando furba, furbissima. Ora vi racconto…

L’altra sera, mentre mangiavamo tutti insieme, nella calma della nostra cucina, la Bea fa una puzzetta roboante che quasi ci spaventa.
Noi, quasi intimoriti dal rumore, ci abbiamo messo una decina di secondi per capire cosa fosse successo e poi siamo intervenuti.

Io:            Bea, ci sono delle regole! A tavola certe cose non si fanno.
Mamma:   E poi puoi anche chiedere scusa!? Vero?
Bea:      Mamma, adesso non posso chiedere scusa, perché sto mangiando e ho la bocca piena e quindi non posso parlare!

Ecco in un secondo è riuscita a zittirci tutti e due usando le nostre stesse regole e senza che noi potessimo dirle nulla.


Negli istanti che sono seguiti ho capito che nulla potrà la forza di Sparta contro l’intelligenza di Atene. 

Ci sarà da lottare.

domenica 2 febbraio 2014

Padre & Figlia

Bea sai che giorno è oggi?
È Saaabbbbatooooo!!! Evviva!!!

La Bea adora il Sabato, in realtà a lei piacciono tutti e due i giorni del fine settimana, ma a casa nostra ci sono due sabati dato che la Domenica non è ancora entrata nel suo vocabolario corrente.
Ad ogni modo, sarà che ci alziamo con calma, ci facciamo un bel cappuccio, un cornetto tutti insieme. Sarà che il Papà non urla sempre come un pazzo perché siamo in ritardo e gli tocca sempre di arrivare in ritardo. Sarà che ce ne stiamo in pigiama fino alle dieci e mentre la Mamma fa la spesa noi puliamo casa e facciamo un po' di faccende. Sarà che ce la spassiamo con mille giochi insieme e sarà anche per le infinite storie che ci inventiamo… beh sarà per quel che sarà, ma la Bea il Sabato è proprio contenta!

Ieri per esempio siamo andati al vivaio a cercare un sostituto per il suo fiore che, purtroppo, non si è sentito tanto bene nell'ultimo periodo. E allora abbiamo pensato di mettergliene di fianco un altro nella speranza che con un po' di compagnia si possa riprendere (non penso ce la farà visto che si è ormai ridotto a un mucchio di sola terra e radici, ma questo alla Bea non l'ho ancora detto). 
Questo è quello che lei ha scelto personalmente, bello vero?

  
In queste ultime settimane poi, la Mamis - come la chiama lei - è parecchio impegnata (vedi alla voce: svenska, engelska, kemi, fysik, biologi) e noi ci siamo dedicati ad alcune attività padre-figlia… e quando io e la Bea siamo fuori dalla portata del radar, ne combiniamo sempre delle belle.

Dopo alcune uscite con la pulka siamo dovuti correre ai ripari. Dato che la signorina nonhopauradiniente ha iniziato a gettarsi da veri e propri dirupi senza curarsi della velocità, ci siamo dovuti procurare qualche equipaggiamento di sicurezza: un casco integrale di quelli da discesa libera taglia XXXS. Convincerla a non fare quelle discese era pressoché impossibile e quindi l’alternativa era il casco. I soliti Italiani iper-apprensivi!!!

La Domenica invece ci aspettano le amiche della danza. Un gruppo di biondissime monelle tra i tre e i quatto anni che con i loro tutù rosa si rincorrono per mezz'ora in palestra, cantando ballando e ogni tanto scontrandosi tra loro. Ognuna esibisce con grande orgoglio il proprio completino, corredato di ballerine e per ogni atleta che si rispetti, una luccicante borraccia per reintegrare la perdita di liquidi che tutto quel movimento causa loro. 


La cosa bella è che alle lezione di danza ci sono molti più Pappini (così è come mi chiama lei) che Mamis. Le mamme dopo la prima lezione si erano già scambiate il numero di cellulare e ogni volta si organizzano in una maratona di chiacchiere ininterrotte. I papà, invece, si salutano a malapena e poi si ignorano reciprocamente. Loro contemplano la meraviglia di quella mezzora di silenzio che dovrebbe essere tale se non ci fosse quel gruppo di individui di sesso femminile in perenne assetto da comizio.



Ora fin qui tutto normale, salvo il fatto che la Bea ha la (S)fortuna di avere un padre come me e come si suol dire: tale padre, tale figlia. A causa del mio interesse per alcuni mezzi di locomozione, la Bea ha sviluppato un vero e proprio amore per tutta una serie di giochi. Nell’ordine ci sono i trattori, le mietitrebbie, le pale gommate, le scavatrici, i cingolati, ecc... si insomma tutte cose non proprio così femminili. Ad ogni modo poco importa. La Bea riconosce a centinai di metri di distanza il suono di un traktor e se poi non riesce a vederlo si arrabbia moltissimo.
Ogni sera ci addormentiamo con il riassunto della mia giornata lavorativa e lei vuole sapere quanti mezzi ho rotto (e poi aggiustato) in officina. Vuole tutti i dettagli, per esempio, se si è rotto il motore o una ruota, se poi sono riuscito a sistemarlo o se è ancora fuori uso.

Domenica scorsa il tempo era brutto, la pulka era a riposo e la lezione di danza non era stata entusiasmante, serviva quindi qualcosa per rivitalizzare la giornata.
Ecco allora che io e la mia ballerina ce ne siamo andati al museo. Si ma micca un museo qualunque: siamo andati qui, al Munktellmusseét di Eskilstuna, sede della più grande collezione di mezzi da lavoro usciti dai capannoni della Bolinder-Munktell AB. 


Tutti mezzi restaurati fedelmente e tutti funzionanti. Insomma il riassunto della meccanizzazione agricola Made by Sweden (tanto per parafrasare una pubblicità che sta spopolando qui in Svezia in queste settimane).


La cosa bella è che il gruppo che gestisce il museo, un vero e proprio club di esperti (ex-dipendenti e amanti del genere), ogni volta che vede arrivare un bambino quasi impazzisce dalla gioia (fondamentalmente essendo anche loro bambini dentro voglio condividere con altri simili la felicità dei loro giocattoli). Vi lascio immaginare quando hanno visto entrare una bambinA con gli occhi spalancati davanti a tutti quei trattori. C’è mancato poco che non accendessero il motore a reazione che stanno risistemando nell'officina del museo.

Il museo ha anche una peculiarità: il cartello "vietato toccare" non esiste, anzi si può salire su tutti i mezzi a patto di fare un po’ di attenzione. Noi non ce ne simo fatti scappare nemmeno uno. A fine giornata la Bea sapeva la differenza tra il pedale dell'acceleratore e quello del freno, ma non solo, sapeva come azionare la benna di una pala gommata o come alzare il braccio di uno scavatore. Mi fermo qui altrimenti poi penserete che siamo tutti matti (si forse c’abbiamo un po' il pallino).

Sulla via di casa ci siamo ripromessi di tornare al museo il prima possibile e di portarci anche la Mamis, così si fa un giro in trattore  anche lei .



A me i nostri sabati piacciono tanto, Stella Mia!
Anche uno solo di questi giorni sarebbe sufficiente per ripagarmi di tutti gli sforzi (che poi tanto grandi non sono mai stati). Alla sera mi passo tra la mente le foto della mia campionessa con le sue scarpe da ballo, o mentre guida i suoi trattori, e mi addormento con un bel sorriso, meraviglioso quanto il suo mentre cresce in mezzo a noi.


Buona vita.