domenica 12 aprile 2015

Solo un pezzo di cioccolato.

Ho passato un bellissimo fine settimana con la mia famiglia, con mia moglie e mia figlia. 

Come spesso mi accade non riesco mai a togliermi dalla testa certi pensieri.

Alcuni iniziano qui…

“Non rammentava la data precisa, ma doveva essere accaduto più o meno quando aveva dieci, forse dodici anni. Suo padre era scomparso da qualche tempo, non riusciva a ricordare quanto. Ricordava meglio i disagi e i rumori di quel periodo: il panico periodico causato dalle incursioni aeree, le corse verso le stazioni della metropolitana utilizzate come rifugi, i mucchi di pietrisco sparsi ovunque, i manifesti con ingiunzioni incomprensibili attaccati a ogni angolo di strada, i gruppi di giovani con le camicie tutte dello stesso colore, le file interminabili davanti alle panetterie, le scariche di mitragliatrice che di tanto in tanto si sentivano in lontananza. Soprattutto, il fatto che non ci fosse mai cibo a sufficienza. Ricordava lunghi pomeriggi passati a rovistare fra i mucchi di rifiuti e i bidoni della spazzatura per tirarne fuori torsi di cavolo, bucce di patate, talvolta perfino pezzi ammuffiti di pane tostato dai quali venivano grattate via con la massima cura le parti bruciacchiate, oppure trascorsi ad attendere il passaggio di camion che facevano sempre la stessa strada per trasportare foraggio e che talvolta, sobbalzando sulle buche di cui era piena la strada, lasciavano cadere un po' di grani da qualche panello di semi oleosi. Quando suo padre scomparve, sua madre non mostrò stupore alcuno, né segni di intenso dolore, ma in lei si verificò un improvviso cambiamento. Sembrava che niente la interessasse più. Agli occhi di Winston era chiaro che la madre era in attesa di qualcosa che le sembrava inevitabile. Faceva tutto quel che era necessario, cucinava, lavava, rammendava, spazzava il pavimento, toglieva la polvere dalla mensola del caminetto, ma tutto lentamente e con una curiosa assenza di movimenti superflui, come un burattino che per la bravura dell'artista sembra muoversi da solo. Il suo corpo, ampio e ben modellato, sembrava precipitare verso l'immobilità. Se ne stava seduta per ore sul letto, quasi inerte, accudendo la sorellina di Winston, una creaturina malaticcia e silenziosa, con una faccia che la magrezza rendeva simile a quella di una scimmia. Ogni tanto, ma molto di rado, abbracciava Winston, stringendoselo al petto per lungo tempo, senza dire una parola ed egli, malgrado la sua giovane età e il suo egoismo, sapeva che questo gesto era in qualche modo collegato all'evento innominato che stava per verificarsi. Ricordava la stanza dove vivevano, un ambiente buio che puzzava di chiuso, occupato per una buona metà da un letto su cui era stesa una sovraccoperta bianca. C'era un fornello a gas dietro il parafuoco e una mensola su cui veniva tenuto il cibo, mentre fuori, sul pianerottolo, c'era un lavandino di terracotta scura, comune ad altre stanze come la loro. Ricordava il corpo statuario della madre mentre si chinava sul fornello per rimestare qualcosa nella pentola, ma più di tutto ricordava la fame che non gli dava requie e le battaglie feroci e sordide che si scatenavano all'ora dei pasti. Chiedeva mille volte alla madre, con un tono petulante, perché non c'era dell'altro cibo, gridava e inveiva contro di lei (ricordava perfino il tono della propria voce, che stava cambiando prematuramente e che all'improvviso prendeva delle strane note basse), oppure piagnucolava, nel tentativo di commuoverla e ottenere più di quello che gli spettava. La madre, dal canto suo, era pronta ad accontentarlo, convinta com'era che a lui, "il maschio", toccasse di diritto la porzione più grande. Ma Winston non era mai soddisfatto. Ogni volta lei lo supplicava di non essere egoista, di ricordare che la sorellina era malata e aveva bisogno di cibo, ma era tutto inutile. Winston urlava come un ossesso quando la madre finiva di scodellargli nel piatto la sua porzione, cercava di strapparle di mano la pentola e il cucchiaio, attingeva anche al piatto della sorellina. Sapeva che così facendo le riduceva entrambe alla fame, ma non riusciva a controllarsi, pensava addirittura che quanto faceva fosse nel suo diritto. Secondo lui, la fame che gli torceva le budella bastava a giustificarlo. Nell'intervallo fra i pasti, se la madre non avesse vigilato, non avrebbe mancato di sottrarre qualcosa alla miserabile scorta di cibo sulla mensola.Un giorno venne distribuita una razione di cioccolato, un evento che non si verificava da settimane, per non dire da mesi. Ricordava ancora con perfetta chiarezza il gusto di quel prezioso pezzetto di cioccolato. Era una tavoletta da due once (a quel tempo si parlava ancora di once), da dividere in tre. Ovviamente, la si sarebbe dovuta dividere in tre parti uguali. All'improvviso, come se a parlare fosse stato un altro, Winston udì se stesso reclamare, a voce alta e profonda, tutto il cioccolato. La madre gli disse di non essere così avido. Ne seguì una discussione lunga e lamentosa, che si prolungò fra grida, piagnucolii, lacrime, rimostranze, contrattazioni. La sorellina, seduta in grembo alla madre con entrambe le braccia attorno al suo collo, proprio come una scimmietta, lo guardava con due occhioni dolenti. Infine la mamma spezzò la tavoletta di cioccolato, dandone tre quarti a Winston e un quarto alla bambina, che prese la sua porzione e restò a guardarla senza mostrare un particolare interesse, forse perché non sapeva neanche di che cosa si trattasse. Winston la guardò per un momento, poi, con uno scatto repentino strappò il pezzo di cioccolato dalle mani della sorella e scappò via. «Winston, Winston!» gli gridò dietro la madre. «Torna indietro! Restituisci il cioccolato a tua sorella!»Winston si fermò, ma non tornò indietro. La madre lo guardava fisso in faccia, con gli occhi pieni d'angoscia. Perfino adesso che stava ricostruendo quell'episodio, gli attraversava la mente il pensiero che stava per accadere qualcosa, anche se non sapeva cosa. La sorella intanto, consapevole di aver subito un furto, aveva cominciato a lamentarsi debolmente. La madre l'abbracciò, stringendole il capo contro il petto. Qualcosa, in quel gesto, gli disse che la bambina stava morendo. Si voltò e corse giù per le scale, mentre il pezzo di cioccolato che stringeva fra le dita cominciava a farsi appiccicoso.  
Non rivide più sua madre. Dopo aver divorato il cioccolato, cominciò ad avvertire un senso di vergogna e vagò ore e ore per le strade, finché la fame non lo risospinse verso casa. Quando tornò, la madre era scomparsa.

…e poi finiscono qui


Sul sito www.ilpiugrandesuccessodelleuro.it è ora disponibile la versione integrale del documentario.





Non riesco mai a togliermi dalla testa l’immagine di quella madre…

1 commento:

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