Il viaggio dall’Italia è stato tutto sommato indolore: ci
sono stati momenti di tensione ma niente di insormontabile.
L’arrivo e l’approccio con la nuova sistemazione, invece, passeranno
alla storia come uno dei momenti che non dimenticherò mai!
La premessa è quella di una persona nata e cresciuta fuori
da ogni contesto cittadino. Sono cresciuto per trent’anni sempre nello stesso “giardino”,
lontano dalle principali città della provincia e disperso tra le campagne di
una minuscola frazione.
Del mio habitat conosco tutto. So riconosce le cose
semplicemente dal rumore che fanno. Mi accorgo del minimo cambiamento perché
nella mia mente la foto di ciò che mi circonda è così impressa che
immediatamente posso notare le differenze. Insomma chi mi conosce sa il legame
che c’è tra me e il posto in cui sono nato e vissuto, tra me e il mio “prato”.
Ora tutto d’un tratto mi trovo catapultato un paese, in una
città e in una casa che non sono mie. Non che io non sia mai stato in grandi
città (girando un po’ per lavoro qualcosa ho imparato), ma un conto è essere di
passaggio un altro è viverci.
Ad ogni modo quando sono arrivato, ad aspettarmi ho trovato
una collega della nuova azienda.
Mi saluta e la prima cosa che mi dice è “Hej Alessandro, hur
ar du? (Ciao Alessandro, come va?). Le rispondo in uno stato confusionale e lei
in un attimo mi dice: “Benvenuto, questo è il tu cellulare”.
Ora ricordiamoci sempre che la simbologia ha un significato
profondo in ogni paese e solo qualche giorno più tardi avrei capito pienamente
il perché di quel gesto e cosa significasse l’oggetto che mi stava consegnando.
Scriverò un post in merito alla questione telefonia in Svezia perché merita
veramente di essere approfondita!!!
Poi si scusa perché il modello è un muletto ma entro pochi
giorni mi sarebbe arrivato quello definitivo. Saliamo nell'appartamento: settimo
piano. Ascensore spazioso ma non troppo. C’è un sole stupendo che illumina e
si diffonde in tutti gli ambienti. Le finestre sono su tutte le pareti e la
vista è affascinante, si vede buona parte della città. Mi fa fare un tour per
le varie stanze e poi giù nel deposito bici, la lavanderia la casetta con i
bidoni della raccolta differenziata. Dopo i saluti mi lascia con qualche
recapito telefonico in mano, il contratto d’affitto e un mucchio di carte sugli
usi del condominio – rigorosamente tutto in Svedese. Poi la sua macchina si
allontana e io rimango lì nel mio nuovo giardino con uno sguardo inebetito e un
totale senso di smarrimento.
Mi ero fatto più di 2000km in solitaria, attraversando mezza
Europa, pochi giorni prima ero con l’Ilaria e la Bea a casa e adesso mi trovavo
lì senza sapere niente, senza capire una parola e con un appartamento
completamente vuoto.
Guardo la macchina, penso alla fatica fatta per caricarla e
a tutti gli incastri. Dal basso osservo il terrazzo al settimo piano e penso: ”Sono
ancora in tempo: la roba è ancora tutta dentro, adesso giro e riparto…”. Poi salgo
di nuovo e faccio un giro per l’appartamento deserto. Guardo la carta da parati
a fiori in quella che sarebbe diventata la cameretta della Bea e il pavimento
in legno chiaro. C’era tanta luce e questo mi rende un po’ più sereno.
Iniziato a scaricare la Multipla. Non ricordo quanti giri ho
fatto in ascensore (tanti!). Più lei si alleggeriva e riprendeva il suo assetto
naturale, più io mi appesantivo. Ogni scatola aveva un peso particolare. Più ne
scaricavo e più mi sentivo lontano.
Penso di averci messo quasi tre ore per portare tutto su. E
poi mi sono trovato con mille scatole e valige e una confusione totale tutt’intorno.
Ora se a questo punto ripenso alla premessa che ho fatto all’inizio,
capisco quel sentimento che ho provato e sono altrettanto certo che non lo dimenticherò
mai. Ci sono poche persone che possono realmente capire il mio stato d’animo e
sono quelle che ho chiamato quella sera.
Nel frattempo si era fatta sera e nella confusione generale
non mi ero accorto che nell’appartamento mancavano i lampadari. Mi sono quindi
trovato al buio: per fortuna in cucina c’era la luce della cappa e in bagno
quella della specchiera, del resto ho tanto ripensato all’Ilaria e a quanto ha
insistito perché caricassi in macchina la bajour che ci avevano regalato per il
matrimonio. Dio benedica quella bajour mi è stata di inimmaginabile conforto e
aiuto durante quella sera.
Chiudo con questa scena: ho passato la nottata seduto sul pavimento
in parquet della sala, attaccato al router che era stato lasciato in dotazione,
cercando di collegare il computer ad una qualsiasi rete che mi avesse permesso
di usare Skype e GoogleTranslator. Per circa un’ora sono stato al telefono
ascoltando una voce registrata del provider telefonico locale che mi diceva
quanti minuti mancavano prima di poter parlare con un operatore. Per fortuna
prima di partire mi ero studiato i numeri in svedese!!! Quando finalmente l’operatore
mi ha risposto e mi ha detto che non c’era modo di attivare la connessione
perché non avevo ancora il mio Personummer, lì allora la formica ha realizzato
che la sua casa era veramente lontana e che da lì in avanti sarebbe stata tutta
salita.
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